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From the catalog of the personal exhibition "Toki no Fuin" - Meran, Italy 1996



  • di Valerio Dehò (art critic)

    Conoscendo il lavoro di Yumi pressochè dagli esordi in cui indugiava in sequenza di autorappresentazione eccitatanti quanto un'alba mediale che trovavo (e trovo tuttora) forti di un candore che non è mai stato innocenza, difronte alla serie di dipinti sulle famiglie giapponesi o sul dopo Hiroshima ho compreso che la sua ricerca non è diretta verso una riscoperta delle proprie origini, quanto verso una verità che l'artista possa riconoscere come propria. So bene quanto si possa essere generici parlando di "verità", forse è la verità stessa ad essere generica e banale perchè irraggiungibile. Ma l'arte non è la filosofia e si accontenta di molto meno, la funzione comunicativa è prevalente su quella conoscitiva. Per questo di fronte alle immagini di famiglie giapponesi, di queste persone in posa cerimoniale così distanti dal nostro tempo e dal nostro territorio culturale, ho provato soggezione, estraneità. Però la vividezza dei colori flat square, acidi come uno schermo VGA e quella tenace corrosione del segno, mi hanno riavvicinato alla consuetudine del consumo delle immagini, a quel "cancro del tempo" che si limita a distruggere il passato senza esaltare il presente.
    La sensualità autoerotica dei primi lavori di Yumi sbiancata da sagge solarizzazioni, si è trasfomata in uno sguardo distaccato, ma sentimentale sulla propria terra d'origine. Del giappone sappiamo sempre troppo poco. Le zaibatsu (oggi zaikai), il teatro noh e kabuki, in tennoh, qualche nome di artista come Hokusai, i due secoli di isolamento dal 1633 fino all'ingresso del commodoro M.C. Perry nel porto di Edo imposto all'ultimo shogun e naturalmente quell'agosto 1945 con l'atomica prima di Hiroshima e dopo qualche giorno su Nagasaki sono frammenti di un'informazione parziale intorno ad un mondo che per noi resta altro nonostante la modernizzazione e l'invasione tecnologia.
    Ma in fondo anche Yumi cerca con la sua opera di aprire il suo passato ad una comprensione nuova, di appropriarsi lei stessa delle immagini simboliche che vengono reinventate dalla sua pittura. Perchè se è certo che l'artista opera proiettando la diapositiva sulla tela rispettando la poetica di quella tendenza pittorica denominata "medialismo", il lungo lavoro della pittura che ritorna sull'immagine riscattandola dalla riproducibilità è un'operazione di scavo, quasi archeologica, su quel terreno infido che è la memoria. Ma la forza di queste rappresentazioni sta nell'equilibrio tra la manualità e l'"object-trouvè", tra quello che conosciamo e quello che riconosciamo, tra l'etica e l'estetica. Il fall out mediale sembra rispecchiare quello atomico.
    Le immagini della bomba atomica e delle sue terribili conseguenze sulla popolazione civile sono un ottimo esempio di come l'arte possa servire a ricordare, a trasmettere il dolore al di là di ogni rievocazione di cronaca. La stessa fotografia, come mezzo tecnico d'espressione, conserva quel senso di attaccamento alla realtà da cui la sensibilità comune non riesce a separarla. Una foto è sempre impronta della realtà, immagine di qualcuno o di qualcosa e non importa che da sempre si è potuto intervenire su questa realtà ai fini della propaganda o dell'economia, non importa che sempre e comunque si rappresenti un punto di vista. Il suo status di calco documentario della realtà le ha consentito poca libertà ma grande capacità di colpire l'attenzione, mentre l'arte ha già da tempo liquidato i conti con il reale. Per questo la somma delle due tecniche produce uno straniamento di effetto non indifferente, la forza della fotografia si coniuga all'esperienza dell'arte di condensare ragione e sentimento allontanandosi dalla storia. Per paradosso le sofferenze delle vittime di Hiroshima e Nagasaki transitano dalla storia all'attenzione degli uomini e donne che verranno: la distanza del tempo e dell'arte rende eterno il dolore, l'orrore. Le opere di Yumi Karasumaru nel bruciare l'accumulo delle immagini, nell'attirare il senso verso di noi ci fanno diventare non soltanto degli spettatori quanto dei testimoni. Portate nella sfera dell'arte le immagini fluttuano nello spazio-tempo per non fermarsi mai più. Se la fotografia condensa in un attimo, in quel magico allineamento dell'occhio della testa e del cuore descritto e praticato da Cartier-Bresson, l'intera vicenda che vuole raccontare, l'arte ripristina la lenteur della esecuzione (settimane, mesi) e quindi della meditazione difronte all'opera. In questo spazio immateriale in cui la quotidianità diventa storia, e questa diventa poesia, si insinua il piacere dell'arte.




    「ときのふういん」


    烏丸由美のアートワークはまず作品の主題となる写真の選択から始まる。真っ白なカンバスにその写真が投影されると、作家は画像の輪郭を線で追い、さらにそこに色彩を加える、こうした一連の製作過程において、作家自身の連続的なモディフィケーションが与えられていくのである。 烏丸の最近の作品は、とりわけ彼女の家族の姿を主題として取り上げており、それは例えば冠婚葬祭における伝統的な衣装ををまとった祖父母や親戚の古い写真などである。さもなければ、広島や長崎での第2次世界大戦の写真が多く取り上げられている。
    さて、他のコンテンポラリー・アートの作家とたちと同じく、烏丸と実在との関係というのは、本質的に作品の実像そのものの中にあらわれている。「複製」というフィルターを通すことによって、コミュニケーションの媒体のひとつである写真に実在性を与えている事が理解できる。 烏丸が彼女自身の過去やルーツ、又、彼女の祖国の民族の歴史を題材とした写真をカンバスの上に複製する時、それらの作品を創りあげている色彩は、どぎつい程のエレクトロニックなイメージで、異常なまでの辛辣さを持っている。フラットで、強烈で、生き生きとした色彩は、鑑賞者を見事なまでに彼女の世界に引き込んでいくのである。
    そうした中でも、とくに彼女自身の家族の歴史を主題とした作品には、自身がその中に無意識のうちに腐蝕の感覚を混入する。それはすなわち退廃(デカダンス)の兆しを暗示するものであり、それによって現代の我々から遠く切り離された「時代」の、その精神性の違いをも浮き彫りにするのである。
    実際には、「時間(とき)」が思い出をすりへらしていくのではなく、我々の見方というものが、それをフェード・アウトさせていくのである。ゆえに、烏丸由美の絵画の今日性というものは、テクニックであり、その内容なのである。
    追憶、家族との絆、作家の祖国の歴史、これらにおける彼女の極度のセンシヴィリティーは、その絵画手法の冷たさの裏に見え隠れする、作家自身と実在とのつながりを明示している。たとえそれが複製の手法を通して見ているにせよ、その関係というものは揺るぐことなく存在するのである。

    ヴァレリオ・デオ(美術評論家)