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From the catalog of the personal exhibition "Hino izuru kuni yori"
at Luigi Franco Arte Contemporanea, Turin, Italy 1999

  • Promemoria per gli ospiti
    di Giorgina Bertolino (storico dell'arte)




    "fingendo di non conoscerci, aveva fatto sì che la nostra improvvisa visita non prendesse il sapore di un ritrovarsi effimero".
    Edmond Jabès, Libro dell'ospitalità, 1991.

    Accanto al campanello con il nome del padrone di casa compare, solo per una sera, anche il nome di Yumi Karasumaru. E' lei l'ospite, doppia figura che vale per chi dà ospitalità e insieme per chi la riceve. Temporaneamente e nello spazio situato di un'abitazione altrui, l'artista ricompone un senso praticandone l'ambiguità.
    Chi entra nella casa di Arte Domestica è un invitato, consapevole però di fare ingresso e poi di intrattenersi e stare in un luogo provvisoriamente ma intensamente, coabitato. Nel corso di questa breve convivenza Yumi Karasumaru solleva, e non solo etimologicamente, i caratteri dell'ospitalità. Nella casa che è dell'altro e che lo rispecchia, Yumi trasloca qualcosa di sè. Aggiunge, sposta e svuota. Misurandosi con una situazione data, la trasforma in un accordo che è materialmente visibile. Ciò che ottiene non è un territorio franco o neutrale ma certo uno spazio che coinvolge i concetti di differenza e di limite. Yumi Karasumaru è, per di più, l'ospite straniero. Ogni quadro della sua Arte Domestica ribadisce questa estraneità non per segno di appartenenze ma mediante una traduzione in dono: che è di cibo nella cena, e di memoria nelle immagini della performance. L'ambivalenza della funzione di ospitante ospitata, fa sì che la distanza percepibile in ciò che avviene e si vede e si sente e si assaggia, rimanga intatta e vitale. L'invito di Yumi non è a consumare quella distanza, bensì a renderla fondamento stesso e peculiare dell'incontro. Ciò a cui tende è - per dirla con Derrida - "l'ospitalità dell'evento", ovvero l'attesa "di ciò che arriva...là dove lo si aspettava senza aspettarlo, senza aspettarselo, senza sapere cosa o chi aspettare, cosa o chi aspetto". L'articolazione sapiente di un cerimoniale, di tempi, spazi e gesti, diviene allora trama disposta all'accoglienza di un succedersi di inaspettati, l'estensione crescente di un fare conoscenza senza esaurirla.
    A concludere queste riflessioni, mi piace il pensiero di Yumi, del come appare nella sua Storia del Giappone in tre quadri e 93 parole. Indossa un kimono tradizionale bianco, il suo viso e le mani sono coperte di bianco. In questo modo va incontro alla luce delle immagini, come andando a cercare nell'aria. La scrittura, la bomba, le memorie che ha dipinto lei stessa. La proiezione avviene dunque sulla persona che si è fatta schermo neutro senza smettere un abito marcatamente connotato. E così Yumi Karasumaru diviene figura stessa di ospitalità che è, dapprima, ospitalità di se stessi.
    Giorgina Bertolino, novembre 1999